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The
Lucksmiths: the music next door |
Lucksmiths sono quel tipo di gruppo capace di creare un rapporto così
personale con il proprio pubblico che il piacere di ascoltare un loro
nuovo album è sempre accompagnato da un vago senso di colpa per
non averne sentito di più la mancanza. “It might have been
the music from next door/Reminded me I should have missed you more/A
song I’ve heard a hundred times before” scrive infatti Marty
Donald con la consueta leggerezza tragica in The Music Next Door,
seconda traccia del nuovo album Warmer Corners. Come a dire,
la poesia è racchiusa lì, nel senso di cui si riempiono
le cose attorno a una assenza. Sembrerà anche poco, e del resto
anche due punti su un atlante distano due dita come cantavano ormai
otto anni fa, ma bisogna essere capaci di raccontarla, quella distanza,
nei tempi stretti del twee pop. Li incontro tra un veloce sound-check e l’inizio del concerto, uno dei primi ad aprire il tour di presentazione di Warmer Corners. Siccome al Mojo’s di Freemantle non c’è backstage, ci sediamo semplicemente nel cortile dietro il locale, beviamo una birra, mentre la gente al tavolo da biliardo ride forte e dal soffitto pendono ancora luci natalizie. Mi domando se questo sia il posto più adatto per fare due chiacchiere con i Lucksmiths, o se magari preferirebbero un campo da tennis o una cucina. Così, per rompere il ghiaccio, lo chiedo a loro.
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Tali:
La situazione ideale per un’intervista con i Lucksmiths? Una birra
nel cortile sul retro di un pub! O più scenografico, con il sole
che cala sull’Oceano Indiano, ma di base questa è la quinta
perfetta per un intervista con i Luckmiths. Non troppo formale, intendo. Tali: In una canzone pop non puoi divagare molto, per via della lunghezza. Se riesci a coinvolgere dal primo verso puoi arrivare al punto davvero velocemente, senza bisogno di ricorrere a una ballata di sei strofe per costruire una vera scena.
Cosa
cantate sotto la doccia? Tali: Marty legge sotto la doccia. Hai presente, usa delle buste di plastica in cui mette i romanzi.
Nemmeno
da soli in macchina? Faccio spesso questa domanda perché non
ho ancora ottenuto una risposta soddisfacente, credevo che fosse solo
perché ho sempre chiesto a band svedesi... Tali: E non guidi nemmeno… Marty: Già, non guido. È il momento di cominciare a cantare canzoni da macchina sotto la doccia. Tali: Si, lo ammetto, canto sotto la doccia. Sono senza vergogna. Specie la mattina presto quando la mia voce è un po’ più bassa, e tendo a cantare “spirituals” neri, tipo Swing Low Sweet Chariot e tremendi jingle da pubblicità o robe degli Anni Trenta, cose sdolcinate e prive di gusto.
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Ho
letto in giro che c’è qualcosa di malato nella vostra (e
degli australiani in generale) ossessione per il tempo. Ma a colpirmi
è di più l’attenzione che ponete nei particolari.
So che suona come una affermazione e non come una domanda, ma vi riconoscete
in questo? Tali: Gli australiani sono ossessionati dal tempo. A Melbourne specialmente. È un fatto che si ripercuote di continuo sulla tua giornata perché cambia costantemente e non puoi dire da un momento all’altro cosa succederà. Mark (arrivando al tavolo in quel momento): Non starete mica parlando del tempo! Marty: C’è una frase di Tom Waits che cerco di tenere a mente per quando mi si chiede del tempo. Dice che una buona canzone deve contenere il tempo, il nome di una città e qualcosa da mangiare. Tali: Ciascuno di noi mette a fuoco diversi aspetti, diversi particolari, ma il tempo sembra essere il fattore che tiene assieme, unifica tutto. In generale, trovo più efficace ricordare le piccole cose piuttosto che il quadro di insieme. Ed è la combinazione di tutte queste che effettivamente dà un respiro più ampio a ciò che stai cercando di esprimere. Mark: Microscopic pop! Marty:
Micropopic! Con l’uscita del nuovo album Warmer Corners, e con l’inizio del tour sembra ufficiale che i Lucksmiths sono diventati quattro, è così? (Alla mia domanda, Tali, voce e batteria, Marty chitarra, e Mark basso del gruppo, scherzano sul fatto che Louis Richter, nuovo componente dei Lucksmiths, sia scomparso come al solito poco prima dell’intervista…)
Tali: Già, abbiamo avuto un bambino! Cerchiamo di tenerlo segreto come puoi vedere. È un tale meraviglioso chitarrista, gli lasciamo un po’ fare quel che vuole… Marty: È davvero grandioso avere un quarto componente nel gruppo. Abbiamo sempre suonato con altra gente ma questa è davvero la prima volta che troviamo qualcuno con cui ci accordiamo perfettamente. In passato facevamo ogni cosa noi tre e poi pensavamo a come organizzare il resto. Con Louis è andata diversamente: è stato coinvolto negli arrangiamenti e reso partecipe nella scrittura delle canzoni, e questo ha davvero fatto la differenza ed è una delle cose che puoi decisamente notare in Warmer Corners.
Come è cambiato, se è cambiato il vostro live rispetto ad un tempo, tenendo conto dell’arrivo di Louis?
Marty: Non saprei dire. In realtà ci stanchiamo più facilmente in tour, immagino. Tali: Tour più corti, musica migliore, meno attività fisica durante i tour. Facevamo un sacco di sport una volta. Mark: Più business che divertimento! Prova a immaginare, andare nei pub, sederti, fare interviste, suonare, svegliarti coi postumi, dimenticare le cose a metà… ecco il tipo di cose che sono cambiate... Tali: Grazie
a Louis il suono è diventato più ampio, abbiamo molte
più possibilità e così che anche le canzoni vecchie
suonano molto più vicine a come potresti averle sentite su disco.
E Louis ha questo modo davvero bello di aggiungere tipo archi e fiati
o qualsiasi cosa. |
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Come
si è evoluto il vostro scrivere le canzoni in questi anni? Tali: So che è un clichè per una band dire che il proprio ultimo disco è il migliore. Mi piacciono tutti i nostri ultimi quattro album. Ma di solito succede che quando finisci di registrare non ne puoi più, ti sei concentrato su un’unica cosa per così tanto tempo e non hai più voglia di riascoltarti. Con Warmer Corners è diverso: lo ascolto a casa, è il mio album preferito, ora.
C’è qualche band australiana che il pubblico italiano deve assolutamente conoscere? Che non sia su Candle Records o Trifekta o Lost And Lonesome (etichetta di Mark Mannone), solo perché che sappiamo già che The Bank Holidays sono grandiosi… Mark: Ne esistono altre? Scherzo… Direi Architecture in Helsinki, ma sono sicuro che ormai li conoscono tutti. E i New Estate, da Melbourne, la loro etichetta si chiama W. Minc. Suonavano in gruppo chiamato Sleepy Township. Marty: Art of Fighting. Tali: New Buffalo. Mark: Yeah, New Buffalo are great! Marty: Machine Translations.
Se non suonaste in una band chiamata The Lucksmiths cosa fareste?
Marty: Al liceo dicevo che mi sarebbe piaciuto diventare un regista, forse avrei fatto quello. Mark: Sarei stato un famoso pittore. Marty: E da dove viene tutto questo improvviso talento? Mark: Ho sempre avuto delle ambizioni, non le ho mai perse! Tali: Io sarei stato una slavata star di soap opera, in un qualche ruolo secondario in una delle meno conosciute soap australiane. E poi sarei finito in qualche teatro di periferia. Marty: È sempre una possibilità, amico. Mai dire mai.
A dire il vero non credo che ce ne sia bisogno alla vostra età… Mark: Hey man, sei hai passato un decennio alla grande non mi sembra così tanto avere un po’ di segni attorno agli occhi, attorno al sorriso. Non si può sembrare giovani per sempre.
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Laura
Govoni |
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LINK: |
The
Lucksmiths Losing Today magazine |