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Strange
things happen
La prima volta in Italia dei Radio Dept.
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From: <enzo + La Laura>
To: <The Radio Dept.>
Subject: The Radio Dept. in Italy!
Date: Saturday, January 31, 2004 2:53 PM
Dear
Radio Dept.,
here is Enzo and Laura from Italy. Do you remember us? We came to your
first gig in UK last May, we met you at the end of the concert and then
we flew back to Italy the very same night (!). It was crazy, but it
was definitely worthwhile :-) We write you to ask you if you are interested
in a concert here in our town, Bologna…
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Intro
A chi crede che gli mp3 siano il male peggiore che potesse capitare
alla musica, vogliamo provare a raccontare una piccola storia. La storia
di un concerto, di un gruppo di amici, di un sogno che diventa realtà
(sì, ogni tanto succede ancora): ovvero, come fu che i Radio
Dept., giovane e semisconosciuta band svedese, vennero per la prima
volta a suonare in Italia grazie a un manipolo di ingenui appassionati.
Tutto comincia nella primavera del 2003, quando nella sezione “Mp3
of the week” del sito dell’etichetta Labrador compare una
canzone intitolata Where damage isn’t already done: due
minuti e mezzo di perfetta grazia pop, capaci di farti subito annuire
e muovere le gambe e al tempo stesso di struggerti il cuore di malinconia.
Tutto quello che serve a far innamorare a prima vista chi vi scrive,
nonché svariati conoscenti in rete sparsi per la penisola. Perché,
dovete sapere, in quest’epoca ottusa, invece delle belle e genuine
fanzine di una volta, ciclostilate e preziose, imperversano i blog,
le webzine e i forum: altrettanto autoprodotti e senza speranza di lucro,
ma molto più semplici da liquidare quali operazioni velleitarie
e presuntuose. Al contrario, noi preferiamo considerare tutte queste
persone che spontaneamente scrivono di musica come un radar diffuso
che esplora tutto ciò che ci circonda, in grado a volte di cogliere
i primi segnali del futuro. E così è accaduto, o almeno
ci piace pensarlo, anche nel caso del quartetto svedese.
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Venerdì
30 aprile 2004
Per la colazione di domenica compro frutta, yogurt, panini dolci, marmellata,
biscotti al cioccolato. Il motorino è così carico che quando
mi fermo a comprare venti tulipani devo farmi aiutare a metterlo sul cavalletto.
Li tengo tra i piedi in carta di giornale. A casa, poi, preparo muffin
alla mela e cannella.
Radio Città del Capo passa due volte il nostro spot. Sull’intro
di I don’t need love, I’ve got my band, che già
da sola preme di desiderio e di attesa un attimo prima di schiudersi,
sono incise le nostre voci: Sabato primo maggio 2004, al Covo di viale
Zagabria 1, Bologna: Radio Department in concerto. Dalla Svezia, per la
prima volta in Italia, la rivelazione indiepop dell’anno.
Ecco: sentire quell’attacco di chitarra, poi la batteria elettronica,
presente e passato insieme, risveglia in me, ogni volta, qualcosa che
affranca l’ordine del tempo, qualcosa che non ha alcun rapporto
con quanto tento di raffigurarmi, qui e ora, di quella fine di aprile,
per raccontarvelo: il profumo dei muffin che viene dal forno, la voce
di Martin quando è quasi mattina, che racconta della sua ragazza,
stampata in bordeaux monocromo sul poster mandato dalla Shelflife, attaccato
al muro, il palco illuminato e la sala buia e satura, le facce dei ragazzi
seduti con noi, dietro la consolle, l’odore di bruciato dei freni
del furgone il lunedì mattina, Lucio e io che cerchiamo di restare
svegli, milioni di autogrill, una polaroid di gruppo tristemente pallida,
scattata nei camerini, l’aria dilatata e stordita al soundcheck
di Roma.
Lo spot alla radio era stata un’idea di Paolo. Per i soldi, disse,
non importa: intanto lo registriamo, poi si vedrà. Siamo andati
negli studi di via Berretta Rossa un pomeriggio che pioveva a secchiate,
ci siamo seduti alla sala riunioni e abbiamo parlato per la prima volta
come se quello che stavamo facendo fosse una cosa seria. Poi abbiamo sorriso
a un microfono con i capelli fradici.
Mando un messaggio a Fabrizio che sta decoupando ancora Via del
Pratello di volantini, e gli dico che se vuole passare ne ho stampati
a colori. No quelli, no. Quelli li teniamo per noi.
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Flash
back
All’inizio di maggio dell’anno scorso volammo a Londra per
vedere di persona i responsabili di tutti i nostri entusiasmi e trovammo
dei ragazzi giovanissimi, timidi e impacciati. Quattro ragazzini capaci
di incantarti stipando il piccolo locale di quella magia per la quale
non esistono antidoti, nemmeno le loro buffe incertezze, nemmeno una
drum machine le cui pile non arriveranno a fine concerto.
O almeno così ci parve quella sera all’Arts Cafè.
Poi, cominciarono a circolare con frequenza mp3 e segnalazioni di link;
l’etichetta californiana Shelflife ripubblicò l’album
d’esordio Lesser matters negli Stati Uniti e il gruppo;
dopo i primi concerti in Gran Bretagna fu contattato dalla XL Recordings;
in Italia le riviste musicali intuirono che qualcosa stava effettivamente
accadendo e comparvero le prime recensioni. A fine anno il nome Radio
Dept. era presente in diverse classifiche dei migliori dischi del 2003.
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How
indie are you?
Una sera di gennaio, una battuta dopo un brindisi: ma visto che i Radio
Dept. li sentiamo tutti un po’ “nostri”, cosa dici
se provassimo noi a portarli in Italia? Perché non provare a
organizzare un concerto, dopo anni che ne frequenti, posto che lo si
faccia per amore e non per denaro? Così fu lanciato l’appello
su internet e in poche settimane Enzo, La Laura e Lucio di polaroid.blogspot.com,
Fabrizio di inkiostro.splinder.com
e Salvatore di indiepop.it
si riunirono e decisero di mettere mano al portafoglio.
Primo passo: stabilire un contatto via e-mail. Lettera sentimentale
e piena di proposte. Cui nulla seguì. Nuovo invio la settimana
successiva. Silenzio. Tentativo con e-mail alla Labrador. Ancora niente.
Passò quasi un mese e non fummo neppure presi in considerazione.
Dopo un ultimo fax un po’ risentito finalmente la band ci rispose,
e lo fece nel migliore dei modi, dando la massima disponibilità
e accettando con simpatia le nostre condizioni decisamente Do It Yourself:
volo low budget con scalo e coincidenze millimetriche, bed & indiebreakfast
da La Laura, giro turistico per la città e soprattutto nessun
cachet.
Intanto l’organizzazione andava avanti: il concerto si sarebbe
tenuto allo storico Covo
Club di Bologna, il nostro CBGB. Avrebbero aperto la serata i Sixtynine
And The Continuous People, band di Pordenone dal suono sixties cristallino
e votato al pop psichedelico dei leggendari Television Personalities.
Scoprimmo che in Italia stava per nascere un nuovo magazine musicale,
dedicato all’indie rock, che aveva intenzione di sponsorizzare
la nostra folle impresa. Il generoso giornale è quello che avete
tra le mani ora, Losing
Today. Poi ci fu una telefonata da Roma e la proposta per una seconda
data dei Radio Dept.
Non ci volle molto tempo, però, per capire che anche la sfiga
è indie rock. La compagnia aerea a basso costo cambiò
le coincidenze di tutti i voli dalla Svezia. Dieci giorni prima del
concerto bisognava trovare altri quattro biglietti. Nella stessa settimana
il locale di Roma fu chiuso dalla Guardia di Finanza. Il budget per
la trasferta capitolina saltò completamente e accompagnammo la
band in furgone senza sapere bene cosa ci aspettava.
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Sabato
1 maggio 2004
I Radio Dept. chiamano: l’aereo è in ritardo. Ah, tre di
loro sono vegetariani. La voce dall’altra parte, da Londra, è
di una calma disarmante. Mi chiedo allarmata vegetariani in che senso:
compatibile con la cucina bolognese?
All’aeroporto ci sono Lucio e Chiara. Abbiamo comprato i giornali
per leggerci nei comunicati stampa. Mando svariati messaggi sbagliando
i destinatari.
I Radio Dept. sono una band. I Radio Dept. sono l’icona dell’indie
beneducato.
L’avresti detto in ogni caso. L’avresti detto perché:
gli strumenti sul carrellino, i jeans che cadono, le felpette, la piccola
giacca di cotone con quel taglio così anni Ottanta, un cappellino
da cui sfugge una frangetta corta e disordinata. Lo avresti detto perché,
anche se non li avessi aspettati per ore, avresti avuto voglia di scrivere
Welcome a pennarello su un grande foglio di carta a quadretti e far
loro una foto prima ancora di salutarli. I Radio Dept. sono sconclusionati,
hanno fame, e vogliono conoscere la situazione politica della città
prima di salire in macchina.
Corriamo al Covo per un soundcheck interminabile per un gruppo senza
batteria. Al Covo c’è un sacco di gente. Qualcuno sta guardando
la partita della Fortitudo in tivù. Ci improvvisiamo tutti roadie
e portiamo le custodie degli strumenti.
Guardando il palco, da destra a sinistra i Radio Dept. sono:
alla chitarra Martin
al basso Kim,
alla voce Johan,
alla Juno 60 che recita this machine kills fascists Daniel.
Martin scende dal palco mentre suona Keen on boys e si allontana guardando
verso gli altri. Il suono è appena “a little bit punky”
e ci troviamo tutti a rassicurarli: ecco, con la sala piena sarà
diverso. Segretamente ci stiamo chiedendo se mai la sala potrà
essere più piena di ora.
Max fa una foto alle spillette sulla mia giacca. Chiara ha acceso il
laptop. I 69 and the Continuos People aspettano pazienti il loro turno
per fare il soundcheck. Avrebbero dovuto farlo ore prima. Giovanni Gandolfi
dice che se siamo quattro ore in ritardo la situazione è
ancora sotto controllo.
A cena alla Trattoria del Rosso siamo tanti, non sappiamo quanti, non
ci conosciamo tutti.
A cena Kim compila la playlist per il gruppo con un pennarello su un
quaderno. Ovvio è lei la ragazza. Lei ha una bella grafia e non
beve perché vuole essere lucida per il concerto. Recupererà
con le birre poi. In ritardo, tesi ma felici, beviamo vino rosso e intorno
c’è quella confusione allegra che solo nelle osterie.
Dicono che no, non faranno Strange things will happen ma con
una risoluzione e assieme una malinconia e una necessità che
ci imbarazza. Al nome di Lisa Carlberg, voce femminile presente in Lesser
matters, qualcuno arrossisce e il discorso cade.
Dicono che non faranno neanche I don’t need love e la
tavolata insorge. Il fatto è che non hanno portato il capotasto
per la chitarra, ma si capisce che un po’ hanno paura. Questa
volta nessuno intende assecondarli e mentre finiamo il vino parte la
caccia al capotasto. Quello provvidenziale recuperato da Fabrizio volerà
con loro Svezia. Kim parla poco e fa foto con il cellulare. Martin descrive
entusiasta il Festival di Emmaboda e tutti facciamo progetti per l’estate.
Daniel, serio, racconta che sta scrivendo un articolo sulla centralità
culturale di Berlino oscurata da quella statunitense. Gli chiediamo
se progetta di trasferirsi in Germania, preoccupati per la sorte dei
Radio Dept., ma loro scherzano: “Yeah, Daniel why don’t
you move there!”. Verso il Covo, facciamo il namedropping
di band la cui lettera finale, di un’altra band è l’inziale
(e viceversa).
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Against
the tide
Quando saliamo la scala sul retro del Covo è un’ora imprecisata
tra le undici e mezzanotte di una tranquilla sera di primavera. Da sopra
ci fanno fretta. Apriamo la porta e veniamo investiti dal vociare di
una sala piena, in attesa, da una festa. Il Covo è davvero pieno
di gente. Al di sopra di ogni speranza, contro ogni logica. Ci viene
incontro chi ha attraversato mezza Italia per sostenere questa piccola
causa indie.
Quando entriamo i Radio Dept. stanno intonando una delle trenta versioni
di Maple Leaves di Jens Lekman. Con quella loro aria serena
e un po’ persa, l’impressione che danno è di non
essere esattamente gli headliner della serata. Impressione confermata
dal fatto che praticamente non hanno portato merchandising, appena una
quarantina di copie di Lesser Matters e altrettante dell’ep
Pulling our weight. Dopo essersi consultati a lungo, decideranno
di venderle a 15 euro insieme.
Mentre suonano i Sixtynine And The Continuous People lascio volentieri
che mi incarichino di vendere i dischi. In Italia non sono ancora distribuiti
e, ovviamente, non faccio in tempo ad appoggiarli sul banchetto che
sono già finiti, polverizzati. Qualcuno suggerisce di mettere
all’asta gli ultimi due cd.
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The
Radio Dept. live in Bologna!
Il set dei Sixtynine And The Continuous People è infuocato. Mi
chiedo quanti fra il pubblico, a parte i Radio Dept, che in macchina
cantavano Someone to share my life with, conoscano i Television
Personalities, le cui cover sono proposte dalla band friulana in una
versione ancora più energica. Spero almeno che a qualcuno sia
venuta voglia di recuperare le canzoni del grande Dan Treacy.
Per salire sul palco gli svedesi devono attraversare tutta lo stanzone
buio e affollato. L’applauso che li accoglie li trova impreparati
mentre si piegano sugli strumenti. Da lontano riesco ugualmente a riconoscere
il sorriso di Johan, lo stesso che ricordavo da Londra, tra il timido
e l’assente. Mi arrampico in cima alla consolle per passare al
fonico un foglio dove hanno scritto quando dare più riverbero
alla voce. Mi fermo lì sopra a guardare la sala piena di sotto,
quello che siamo riusciti a fare, e penso che mi aspetta un lungo bonus
di felicità.
Il suono dei Radio Dept. dal vivo è più saturo di rumore,
più slabbrato. C’è bisogno di alzare un po’
tutti i volumi ma la magia si ripete ancora una volta: quella voce rotta,
che sembra sempre sul punto di non farcela, quello melodie limpide à
la Sarah Records, gli abrasivi feedback marca Jesus And Mary Chain,
i ricordi di Primal Scream e Saint Etienne…
A sorpresa, nella breve scaletta, anche Bus e due inediti (apparentemente
intitolati Let me have this e Ny låt), ma è
quando presentano 1995 che il Covo consacra i suoi increduli beniamini.
Confesseranno poi di non aver mai fatto un concerto dove il pubblico
cantava con loro le parole.
“And though I'm happier now, I always long somehow back to
1995”…
E sul finale, insperata, arriva anche I Don’t Need Love, I’ve
Got My Band, traccia frenetica che scorre sotto pelle, c'è
quest'aria molto Cure, molto felici giorni andati, molto rumore trattenuto
dentro, e fare no con la testa, stringere i pugni mentre ci si piega
in avanti, il riverbero, la voce come al telefono, più distorsione
verso la fine, più distorsione, più distorsione, più
distorsione…
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Strange
things will happen if you let them…
E’ finito, con quest’esplosione e tutti che ne volevamo
ancora. Ma non c’è stato niente da fare. Solo nove pezzi,
già eccezione alla loro regola di live da otto, e niente bis
come sempre. Perché, spiegano, con otto canzoni riesci a tenere
alta la tensione del concerto.
La notte finisce in gloria: gli amici da salutare con calma, i giri
a banco da offrire, i conti che miracolosamente sembrano andare in pareggio,
le danze condotte da Arturo Compagnoni ai giradischi e gli svedesi in
pista insieme a tutti noi, le foto abbracciati nei camerini (pare non
ne sia venuta nessuna).
Al ritorno, quello da caricare in macchina con più cautela è
Johan, mentre Daniel dobbiamo trascinarlo via dalla pista a forza. Tornando
a casa cantavamo I won’t share you. L’ultima sigaretta
in balcone sottovoce, sorridendo, per una volta soddisfatti senza mezze
misure: domani ci aspetta la trasferta a Roma.
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Enzo
Baruffaldi + Laura Govoni
Giugno 2004
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LINK:
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The Radio Dept. on Labrador
Losing
Today magazine
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